La lettura. La lettura e il testo. La lettura e l’impossibile storiografia. La lettura e la lingua. La lettura e il libro. Come leggere. La lettura e l’edizione
Il libro nell'arte
La lettura
Leggere per imparare, per conoscere, per commentare, leggere per leggere sono modalità che impediscono la lettura. La psicologia della lettura, assunta a modalità sociale, gestuale, sistematica, universitaria propone varie tipologie di lettori integrati, apocalittici, oratori, interpreti, insegnanti, maestri, e tutto questo per rinchiuderli nel cerchio della significazione, del segno, o del finito come metafora del già letto, del già commentato, del già sistematizzato. Una lettura di livellamento e di normalizzazione che rappresenti e distingua il lettore comune dal lettore professionale, il lettore impegnato dal lettore disimpegnato.
Il lettore in quanto tale, il lettore-soggetto, non esiste. È una creazione funzionale al pregiudizio secondo cui la lettura debba essere orientata, incanalata, suggerita, proibita o consentita. Oppure, che ci sia il lettore che crei se stesso, il lettore anarchico, il lettore solitario, il lettore rivoluzionario.
Il lettore-tipo, il lettore-modello, il lettore-attivo o il lettore-passivo. In ogni caso, si ha qui il lettore soggetto: questo lettore, quel lettore, il lettore colto, il lettore incolto, il lettore occasionale, il lettore assiduo.
In ciascun istante ci si imbatte – nei libri, nella conversazione, nelle scuole, nella vita – con un’idea di lettura divenuta sostanza (ho letto tanti libri, la mia biblioteca ha cento, mille libri) e con una pratica divenuta psicoterapia (leggo per distrarmi, è un libro che mi appassiona, leggo per dimenticare o per ricordare, mi piace leggere, odio leggere).
La lettura e il testo
Il testo occidentale, il testo rispetto alla lettura del quale ciascuno di noi si è formato, è un testo che, così come giunge oggi all’ascolto, è invischiato di tutte le epoche e di tutti pregiudizi che ogni epoca ha prodotto. Più precisamente, si tratta del discorso occidentale, e il discorso sarebbe lo scritto – la lettura, il lettore – senza il testo. Impossibile però togliere il testo nonostante il discorso abbia cercato di liberarsene cancellandone ogni traccia. Qualcosa rimane, nonostante duemilacinquecento anni di storia, tra le righe, nei fogli, tra le pagine. Qualcosa prosegue e incomincia ossia qualcosa si propone come apertura e inaugura una ricerca senza più le fantasmatiche del soggetto al quale era stato affidato il compito di distinguere tra quello che considerava bene o male, buono o cattivo, alto o basso. Qualcosa rimane, ma non è già dato, non è scontato: occorre restituirlo con la lettura, leggendo il testo. Il testo dell’Occidente consta certamente di contraddizioni, di opposizioni, di positivo, di negativo ma la lettura procede dall’impossibile distinzione tra positivo negativo. Occorre che quanto è stato scartato e negato alla lettura, venga affrontato, analizzato, reintrodotto nell’elaborazione, in altre parole, che venga letto.
Restituire il testo con la lettura comporta non una lettura estemporanea e originale, non una fenomenolologia della lettura e neanche una lettura ontologica. Non ogni cosa giunge alla lettura né la lettura restituisce ciò che sembra essere letto. A volte capita che leggendo e udendo e scrivendo quanto viene restituito sia molto di più di quanto ci si aspetta, di quanto si è investito nella ricerca, di quanto ci si provava a immaginare. E altro materiale interviene al punto tale da esigere che ancora qualcosa si scriva, che ancora qualcosa si legga.
La lettura e l’impossibile storiografia
Non sappiamo se, anticamente, la lettura sia stata una pratica anteriore alla scrittura o viceversa. E se la condizione, come oggi, fosse la simultaneità. Dall’antichità abbiamo notizia della tradizione orale che sembrerebbe anticipare sia la scrittura sia la lettura, ma anche l’invenzione della città, della comunicazione, della lingua. Con la scrittura e con la lettura, l’oralità non viene tolta, ma assume un’altra portata. La stessa memoria, ciò che l’oralità deve custodire e tramandare, ha un’altra accezione: non più ciò che appartiene al ricordo ma quanto si scrive nella dimenticanza. Per un altro verso, l’oralità prosegue con la lettura a voce alta. Anche la scrittura, attraverso la scansione fonetica, rientra nella oralità. Il lettore diviene portavoce e interprete dello scritto. Solo in seguito, con la lettura silenziosa, l’accezione etimologica che comprende termini come raccogliere, riunire, scegliere o accostare, decifrare, interpretare, viene assunta. Ancora c’è l’uditore, che era quello della tradizione orale. Ancora la scrittura non si prova a scrivere il silenzio, le pause, la modulazione, il ritmo, e la scriptio continua orna il testo di difficoltà estreme fino al Medioevo e, in alcuni casi, fino al Rinascimento. Nel V secolo, sant’Agostino ci regala pagine bellissime nelle Confessioni. La lettura a voce alta di un passo del Vangelo opera in lui l’inaspettata conversione. Poi, egli stesso prende, apre e legge il Libro. Si sofferma su una pagina e ascolta le sue stesse parole mentre le pronuncia. Ma grande, incontenibile, è la sorpresa quando scorge sant’Ambrogio immerso nella lettura silenziosa.
E con la lettura silenziosa, la scrittura si dispone all’intervento del tempo. Le parole cominciano a distinguersi. La metrica lascia il posto al ritmo, alle pause, al silenzio. La lettura, sia pure la difficoltà permanga rispetto alla sintassi e alla frase, giunge all’intendimento e alla semplicità con la scrittura. Il lettore ora è il destinatario e diviene esso stesso uditore. Anche la punteggiatura comincia a articolarsi rispetto a questa trasformazione. La lettura a voce alta rimane, ma la lettura silenziosa la integra, aprendo altre vie. Il lettore ora partecipa allo scritto. Aggiunge e toglie. Appunta glosse, scrive note, riprende passi. Si moltiplicano le biblioteche; si raccolgono, si consultano, si annotano, si catalogano i libri.
Dalla lettura intensiva dei libri sacri, alla lettura estensiva che comincia a farsi strada fuori dai conventi, tra la gente sempre più numerosa. Le università, sorte nel Medioevo con la distinzione tra arti liberali e arti meccaniche avviata dagli scolastici, assumono la lettura come pratica di acquisizione del sapere. Alla meditazione e alla contemplazione, l’università sostituisce il commento, il disputare, il predicare. Sono di quell’epoca i florilegi e i commentari (strumenti di universalizzazione del sapere in assenza del testo), che consistono nel riportare brani o citazioni, commenti e interpretazioni del testo originario. Non più la glossa a integrazione, ma il commento (come riduzione, come facilitazione e padronanza sul testo) il compendio, l’estratto. Sottraggono il testo alle infinite variazioni della lettura e ne restituiscono un prodotto uniforme e universale. Questa metodologia rimane per secoli come sbarramento alla lettura e alla scrittura. E nel Quattrocento, quello che doveva essere il ritorno al classico, diviene materiale per preservare il presente dall’attuale. La cultura umanista depura il testo, toglie la difficoltà, toglie l’illeggibile, toglie l’imponderabile e lo restituisce nella sua presunta amenità, nella sua presunta perfezione artistica, nella sua presunta purezza stilistica.
"Costoro vanno sconfiati e ponposi, vestiti e ornati non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezeranno, quanto maggiormente loro, non inventori ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati". Leonardo si accorge dello scempio, ma non discute con essi. È altra la sua lettura. "... farò come colui il quale per povertà giunge l’ultimo alla fiera, e non potendo d’altro fornirsi, piglia tutte cose già da altri viste e non accettate...". Leonardo diviene scrittore per la via dell’osservazione, dell’esperimento, del fare, e ci lascia un testo che per cinque secoli rimane non letto.
La traccia rinascimentale si fa di arte, d’industria, di politica, di sessualità, di pornografia. L’invenzione della stampa, l’intervento del cattolicesimo, la volgar lingua, danno un’altra portata alla lettura. La reazione è l’inquisizione, la messa all’indice, il protestantesimo. Nel Cinquecento la novità è tangibile e la reazione altrettanto. Per la prima volta il pubblico entra in scena. La stampa comincia a dilagare e tra lo scrittore e il lettore c’è il tipografo, il revisore, l’editore.
Ma il pubblico probabilmente giunge in seguito alla lettura. Gli stampatori del quindicesimo e del sedicesimo secolo e le loro ideologie, avevano forse scambiato il lettore con il pubblico e, fino al ventesimo secolo, un certa modalità di lettura forma un pubblico senza infinito, come nel romanticismo, o basato sulla contabilità dei singoli, come nel ventesimo secolo.
La lettura e la lingua
Mi trovo dinanzi a un testo. Sto avviando una ricerca. La lettura di quel testo risulta difficile. Mi trovo lì, nell’esigenza di capire. Occorre lo studium, l’impegno. Non ho ancora elementi linguistici e strutturali per intendere. La lingua è ancora informe, grezza. Richiede lavoro e teoria. Qualcosa si scrive ma non è ancora quello di cui si tratta.
La ricerca non toglie la difficoltà. Tutt’altro. La ricerca che toglie la difficoltà si giustifica applicando l’oscurità e l’incomprensibilità come sistema per cui la lingua viene negata e la lettura abbandonata.
Lingua, linguaggio, parola, per nulla possibili da trattare, non erano riusciti a precisarsi nella scienza del discorso. Qualche passo lo avevano fatto la matematica, la letteratura, la poesia, così come il teatro, il cinema, la danza o la pittura, la scultura, l’architettura.
Tolta la ricerca, la lingua deve essere facile, senza intoppi, senza comunicazione. Quella che volgarmente viene definita facile è la lettura per i depressi, per gli analfabeti, per il lettore comune o il lettore di massa, e deve riportare esattamente il luogo comune, senza variazione. Ognuno legge dunque ciò che crede di sapere già e s’immedesima, si assimila, si confonde e si perde in quella lingua che lo trova d’accordo o in disaccordo. La lettura facile è quella che apparentemente comunica qualcosa che già il lettore avrebbe acquisito e lo comunica nella sua lingua in modo che questi, senza sforzo, lo capisca nella sua lingua. Leggere nella propria lingua è come parlare nella propria lingua, togliendo dunque la difficoltà, spesso e quasi sempre intesa come impossibilità di leggere quel testo.
C’è ancora una via, però, che si traccia simultaneamente alla difficoltà. A un certo punto, è tale la difficoltà che qualcosa giunge al suo estremo e si legge, scrivendo, in modo nuovo, inedito. Appunti, note, insistenza, costanza giungono al testo e trovano l’estrema semplicità. E la lingua, quella che ho trovato difficile, differente, altra, diviene semplice quanto nessuna lingua comune mai potrà divenire.
La difficoltà estrema, quella che non si può togliere ma che anzi si accentua, quella che interviene quando chi incomincia a leggere affronta il testo con umiltà, con disposizione all’ascolto, senza saperne nulla e con l’assoluta onestà della ricerca, affianca poi la semplicità. Impossibile che io ne sappia prima della lingua di quel testo. Impossibile che il commentatore, il critico, il recensore m’informino prima. Ora il testo non lo si comprende, ma si capisce e s’intende. Ora la ricerca può concludere all’aforisma, al racconto, al romanzo.
La lettura ritrova la semplicità integrando ciascun dettaglio, ciascun elemento. Se nessun elemento interviene, la lettura è facile. Scorre come il tempo inteso come durata – non per nulla sono comuni espressioni quali "leggere per passare il tempo", "per ammazzare il tempo", "per perdere tempo": ma provate a leggere in questo modo, è una lettura che lascia il tempo che trova, ossia senza tempo, perfettamente sincronica con l’epoca, perfettamente adeguata alla calma, perfettamente comprensibile perché nulla c’è da capire, da intendere. Non perché il testo nulla possa trasmettere, ma perché la lettura si accontenta di vedere e di scorrere quanto è scritto senza udirlo. Ciascun testo, ciascuna riga di quanto è scritto, di quanto comunque può leggersi, solo se rientra in una ricerca può incominciare a esistere. La questione è quella della lingua. E qui si discute della lingua che interviene leggendo. Leggere nella propria lingua può situare, a volte in modo irreversibile e per secoli, il testo, per esempio quello occidentale, nell’assenza totale di lettura. Di moltissimi, infatti, se ne ha soltanto un ricordo stravolto dai libri di scuola, dalle antologie, dalle spiegazioni. I testi del Cinquecento giacciono inpubblicati in qualche biblioteca. Di molti si trova un’edizione, non diplomatica, che ha abbandonato la lingua originaria. E tuttavia una ricerca può rilevare ciò che per secoli è stato occultato, spianato, riportato a brani. La particolarità, l’unicità, lo specifico sarà la lettura a restituirli.
La lettura e il libro
La terra, la pietra, la tavola, il foglio, la pagina, il libro.
La traccia, il tracciato, l’incisione, la grafia, la scrittura.
L’informazione, la comunicazione, il messaggio, la lettura.
Che gli umani siano stati in grado d’inventare tutto questo è un miracolo. Uno straordinario miracolo che ha dell’incredibile. Noi possiamo oggi leggere, alla luce dell’attuale, dell’esperienza di artisti, di poeti, di scrittori, di scienziati e siamo in grado, con uno sforzo pulsionale, con impegno, con lealtà, di compiere anche una lettura del testo, quello che è rimasto, indelebile, eppure invisibile, sulle e nelle pagine del libro.
Che il libro esista è indice di apertura, che le biblioteche esistano è indice d’infinito.
E quante bellissime storie intorno ai libri e alle biblioteche, quanti discorsi, quante fantasie, quanti pensieri, quante follie hanno ruotato attorno a pagine rilegate, cucite, legate, incollate, scritte, cancellate, distrutte, bruciate.
Libri proibiti, libri studiati, libri belli, libri cari, libri grandi, libriccini. In ciascuno l’idea del sacro, dell’intoccabile, dell’incancellabile, dell’eterno. E forse la prima percezione di eternità si è avuta con il primo libro.
Il libro è ciò che resta. La civiltà se ne è sempre accostata tenendo in conto il suo carattere di sacralità, ha avuto con esso un rapporto inquieto, violento, a volte inaccettabile. Ha cercato di cancellarlo, di neutralizzarlo, l’ha messo all’indice, l’ha bruciato. Ma l’ha anche collezionato, abbellito, rivestito, ornato, ripulito, sistemato in eleganti biblioteche, in lussuosi templi, in lucrose custodie.
E oggi tenta di contenerlo nel più piccolo spazio possibile, di padroneggiarlo e di comprenderlo nel più breve tempo possibile, di toglierlo dall’infinito e di confinarlo in interminabili liste, cataloghi, concordanze, bibliografie. Il tecnicismo e l’automaticismo rinnegano l’eternità e ristagnano ciascuna cosa nello squallore delle cose finite. Le cose finite sono i libri già letti, già scritti, già editi una volta per tutte.
Ma quale libro può oggi non entrare nell’esperienza? Qualche libro la civiltà può permettersi di catalogare senza rischiarne la lettura? Con la slealtà dell’inquisitore, con la perversione del commentatore, con la povertà del critico il libro può perdersi e non giungere al lettore. Quando giunge però, quando il lettore lo cerca, lo acquista, lo legge, il libro è un interlocutore essenziale. Esso suggerisce, provoca, aggiunge sempre qualcosa, avvia una riflessione, conduce per sentieri difficili, si ammucchia sulla scrivania assieme a altri libri. Rimane nella biblioteca forse per molto, molto tempo... ma quando occorre è lì, disposto in un certo modo e secondo criteri precisi.
Quanti libri leggere. Quali libri leggere. La curiosità intellettuale, l’esigenza di fornirsi degli strumenti, la necessità di scrivere decidono della quantità e della qualità dei libri con cui ciascuno si trova a vivere investendo per essi, il giorno, la notte, il crepuscolo.
Come leggere
"Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, et mi metto panni reali et curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragione delle loro actioni; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottiscie la morte: tucto mi transferisco in loro".
Così Machiavelli introduce il piacere della lettura e la disposizione a essa.
Come leggere non è un’interrogazione e non fonda nessuna risposta. Rilevare qualche dettaglio, balbettare qualche elemento teorico, provare a concludere all’aforisma possono fornire un contributo al piacere e instaurare il lusso del superfluo, ciò che non serve ma che è assolutamente necessario. Il piacere della lettura, e quanto di essa passa e ritorna all’esperienza. Grande lezione di Machiavelli.
Come leggere. Noi ci disponiamo. Un libro, un quaderno, dei fogli. Non sappiamo quanto troveremo leggendo. La dignità, la lealtà, la generosità intervengono come condizioni e come virtù. Gli appunti, le note, i richiami, le citazioni non riprendono il testo per spiegarlo, per riassumerlo, per commentarlo, ma annotano altri pensieri, proseguono l’elaborazione, introducono un altro testo.
La lettura mai procede per concentrazione, la lettura è distratta, fluttuante. L’attenzione ora va ora viene. E occorre la prima, ma sopra tutto la seconda lettura. Con la seconda lettura, che non segue la prima, ma che anzi dà alla prima la sua dignità, il testo entra nell’infinito. La novità, la sorpresa, la particolarità risaltano dalla seconda lettura. Così anche la memoria, la tradizione, l’originario. Quante volte leggere per giungere alla seconda lettura? Dieci, cento, mille: a volte non bastano e a volte basta una combinazione, la ricerca, l’esigenza di una lettura irrimandabile e urgentissima.
Nessun attaccamento alla lettura e nessuna passione. Tra le righe, l’idea, il fantasma, Dio, operano perché qualcosa si scriva. È una questione di onestà intellettuale, senza che io ci metta del mio, senza abolire, e tuttavia senza saperlo, quanto c’è di illeggibile, di invisibile e di iniscrivibile. Il distacco consente di rilevare l’assoluto e di attenersi a esso. L’assoluto traccia la direzione e quanto io trovo leggendo, lo trovo secondo la necessità, e rispetto a ciascun istante si aggiunge, si precisa, si scrive. Può trattarsi di un libro, di un avvenimento, di una notizia, di una circostanza. L’esercizio della lettura si compie secondo la necessità, leggendo e scrivendo, secondo il criterio della qualità. Nell’indifferenza, nell’automaticismo, nella sordità nessuna cosa giunge a compiersi, nessuna lettura sarà efficace per la scrittura. In altre parole, niente resterà.
La lettura e l’edizione
Da bambini, quando s’incomincia a leggere la prima fiaba, il primo racconto, il primo romanzo, le pagine di quel libro suggeriscono pensieri, idee, progetti per un itinerario intellettuale. Poi ci si accorge che i libri sono tanti, che questa straordinaria invenzione che è la lettura darà modo di leggere ancora, di annotare qualcosa che mai, altrimenti, avrebbe potuto annotarsi. E s’incomincia a fantasticare sulla fortuna di coloro che li fanno i libri, non solo gli scrittori, i poeti, gli artisti, ma anche gli editori, i redattori, i tipografi. Si prova a immaginare cosa ne sarebbe di questo pianeta senza i libri. Poi giunge quella notte in cui s’incomincia a scribacchiare qualcosa con l’illusione, dapprima impercettibile, che qualcuno un giorno leggerà quanto ora si sta scrivendo. E quando l’illusione è incontenibile si pensa anche che forse c’è un editore pronto a scommettere su quel testo e pubblicarlo. Oppure ci si immagina nello statuto di editore o di redattore nell’atto di leggere manoscritti e tra questi trovare, quasi anonimo e discreto, un grande capolavoro.
Ma non sono, queste, che fantasticherie di bambini. Intanto, la vita è curiosa e senza sapere come ma in una combinazione straordinaria di eventi, ci si può ritrovare a scrivere, oppure presso un editore a leggere manoscritti, a curare testi per la pubblicazione, a contribuire per l’edizione di una rivista.
E c’è di che sorprendersi.
Quando un manoscritto giunge alla casa editrice – e è cosa che accade ciascun giorno – quasi sempre arriva senza preavviso, qualcuno accompagnato da una lettera, di altri il nome dell’autore compare solo come mittente sulla busta. Fogli dattiloscritti, corretti a mano, con una bella rilegatura alcuni, sparsi altri, improvvisati molti. È il primo gesto, da parte dell’autore e dell’editore, di apertura e di rischio. E, per entrambi, una scommessa.
Lettura difficilissima quella dei manoscritti. Esiste la trama, il racconto, il messaggio? C’è la lingua, la ricerca, l’autenticità, l’inquietudine? Cosa occorre e cos’è necessario che l’editore metta in conto nella conversazione con l’autore? C’è già il libro oppure quanto io rilevo dalla lettura mi dà l’occasione di proporre un intervento linguistico, una revisione, un ulteriore lavoro sintattico? Si tratta della prima stesura, o c’è materiale per la stesura originaria? E se non c’è niente, quando questo niente deborda fino a imporsi all’attenzione?
Quando l’editore decide di scommettere sulla pubblicazione di un testo, la lettura si svolge su un altro stadio che è quello dell’edizione e della riuscita editoriale. E qui occorre il testo nella sua integrità. Questo è il compito della lettura editoriale. La lingua, la scrittura, il messaggio partecipano all’integrità del testo e la lettura li sottolinea, li rileva, li espone, li mette in gioco. Può capitare che l’autore non consegni il testo nella sua integrità, che abbia trascurato questa lettura e che per questo si affidi all’editore: in tal caso la collaborazione, la conversazione, se necessaria la riscrittura di alcuni passi da parte dell’autore secondo la lettura editoriale, è ciò che avviene e che stabilisce il testo per la pubblicazione (FG 1997)
Il libro nell'arte |
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Il libro d’arte. La scommessa e l’edizione
La casa editrice Spirali e le sue collane d’arte
Nel 1978 viene fondata la casa editrice Spirali. Ma la storia incomincia fin dall’inizio degli anni settanta con la cura di vari libri, con l’avvio di un movimento culturale, con l’organizzazione di vari congressi. Ha già, dunque, basi editoriali interessanti, ha un messaggio, si muove su un’eredità straordinaria di arte e di cultura, e dunque ha una missione. Insomma, ha un suo progetto che, nel corso di questi anni, ha potuto scrivere e diffondere con il suo programma. Nell’editoria italiana, Spirali incomincia e instaura esigenze nuove di lettura che, prima del 1978, non c’erano, più ampliamente, si situa come produzione e diffusione di ricerche e di idee che coinvolgono non solo l’editoria, ma anche la cultura e l’arte, l’invenzione e la scienza, in Italia e in Europa ma anche nell’intero pianeta. Tutto questo grazie al suo fondatore, Armando Verdiglione, noto oggi internazionalmente, che, con la sua equipe, ha scommesso e scommette sulla qualità e sulla novità oltre che sull’internazionalismo e sull’intersettorialismo: elementi essenziali che distinguono questa casa editrice e che le permettono di avere un catalogo importante, oltre mille titoli, varie collane e riviste, un periodico mensile "Il secondo rinascimento", che, con la rivista "Spirali", ha raccolto, negli anni, oltre 30.000 collaboratori.
In questo contesto, le pubblicazioni che riguardano l’arte hanno un rilievo importante fin dall’inizio. La rivista "Spirali" ha ospitato vari dibattiti, il secondo numero, L’arte, novembre 1978, situava, in modo teorico, la questione dell’arte e della cultura come questione della macchina e della tecnica vanificando, per la prima volta dopo Leonardo, la distinzione fra arte liberale e arte meccanica. Il congresso Dell’arte... i bordi, organizzato dalla casa editrice nel 1979, proponeva accezioni differenti dei termini artista, artificio, arte, opera d’arte, critica d’arte, dopo le teorizzazioni filosofico-politiche di Croce e di Gramsci. Il quarto numero della collana "Nominazione", Matematica e arte, rispondeva alle domanda "dove va l’arte" e discuteva sull’impossibile primato della scienza sull’arte, anche grazie al contributo di Iannis Xenakis, con il suo libro Musica e architettura, di Jean Marc Philippe, di Vittorio Mathieu e di Jacques Martinez autore del saggio, Il perenne moderno, esempio del "pittore che scrive il romanzo della sua pittura", intendendo l’arte come perenne e come costante piuttosto che come variabile destinata al finito. La nozione di moderno sarà precisata anche da Marcelin Pleynet attraverso la lettura dell’avventura letteraria e artistica del Novecento, nel libro dal titolo Della cultura moderna. E il Novecento costituisce ancora materiale d’indagine nella ricerca e nell’invenzione di Achille Bonito Oliva, che presso Spirali, pubblica il suo libro Il sogno dell’arte, il più importante contributo teorico intorno alla transavanguardia. Un’altra testimonianza della modernità passa attraverso Spirali, ed è il movimento artistico letterario chiamato a torto poesia visiva con il volume, curato da Vincenzo Accame, Il segno poetico, che dà a noi la conferma di quanto l’arte, la poesia, la scrittura, rifuggano dal visivo per divenire immagine acustica, immagine dove le cose si odono senza la visione. Oltre a interventi, pubblicazioni e saggi di ricercatori, artisti e studiosi (Luis Cane, Enrico Baj, John Cage, Lukas Foss, Filiberto Menna, Vittorio Fagone, Krzysztof Zanussi, e moltissimi altri), Spirali riesce a pubblicare i disegni (corredati di note) di un grande della letteratura mondiale che è Eugène Ionesco, in un volume dal titolo Il bianco e il nero, e il Catalogo dei dipinti e dei disegni di un grande della letteratura della dissidenza sovietica, Aleksandr Zinov’ev. Intanto, la scommessa si gioca anche sui classici, volumi mai pubblicati in Italia, uno illustrato da A. Dürer, l’altro di Jean Martin Charcot, che provocano, anche attraverso il disegno e la pittura, il sistema di padronanza sul pensiero e sulla mente: il primo è La nave dei folli, 1494, di Sebastian Brant, il secondo Le indemoniate nell’arte (1885).Altri contributi teorici di notevole rilievo sono il saggio La pittura e il male di Jacques Henric, un’analisi nel dettaglio degli inciampi e delle questioni in cui sono incorse le avanguardie del Novecento; Ars combinatoria del filosofo napoletano Aldo Trione, intorno all’arte della combinazione, da cui procede anche l’estetica; e il bellissimo libro L’arte, la scienza, la comunicazione, che ospita scrittori e artisti e spalanca la via all’arte nella sua globalità. E così molti altri, filosofi e scrittori, critici e economisti, medici e poeti che si sono provati a scrivere qualcosa che è parte integrante della vita e dell’opera di ciascuno.
L’editore ha dunque colto l’esigenza d’instaurare dei dispositivi intorno all’arte e alle questioni che incessantemente un’opera pone: questioni di scrittura e di impresa, questioni di lettura e di insegnamento. Anche a seguito di un suo libro, che raccoglie trent’anni di ricerca e di lettura, intorno a Leonardo da Vinci. La lettura integrale dell’opera di Leonardo, gli scritti, i disegni, le pitture, le opere scientifiche e matematiche. Questo libro di Armando Verdiglione restituisce con una lettura dettagliata, letterale e scientifica il testo di Leonardo da Vinci. È una lettura senza commento e senza interpretazione, una lettura originaria che trae da Leonardo la lezione rinascimentale proprio in seguito all’invenzione e alla constatazione di un secondo rinascimento in grado oggi di cogliere le indicazioni e le novità del primo rinascimento fiorentino.
Le varie collane che s’inscrivono nel catalogo della casa editrice vanno in questa direzione. Possiamo citarne alcune, per esempio "Artisti d’Europa" che accoglie pittori italiani e europei (Vincenzo Accame, Marco Castellucci, Alessandro Taglioni, Ferdinando Ambrosino, Alessio Paternesi, Sandro Trotti, Clara Halter). La collana "Il cielo d’Europa. L’arte in Russia", che costituisce un’altra scommessa del gruppo Spirali: quella di scrivere cento anni di pittura russa attraverso le testimonianze e l’opera degli artisti russi più noti e più importanti in Unione Sovietica dal 1917 fino al 1989 e dal 1989 a oggi e all’attuale millennio. È attraverso la raccolta di questo materiale, attraverso conversazioni con gli artisti, documenti dell’epoca – memorie, diari, mostre, libri, lettere, opere, scritti – che si può restituire, senza storicismo e senza revisionismo, il testo della pittura russa del Novecento. E gli artisti sono straordinari, trattandosi di Ely Bielutin, Aleksej Lazykin, Michail Anikushin, Konstantin Antipov, Josif Gurwic, Nikolaj Christolubov, Grigorij Zejtlin, Andrej Lyssenko, Valentin Tereshenko e moltissimi altri, testimoni e protagonisti della Russia che, in questo modo, entra nell’Europa con la sua materia e con la sua memoria. Memoria che trae il materiale anche da artisti russi e europei del settecento e dell’ottocento, opere custodite per oltre settant’anni dai collezionisti e dai musei russi, opere che per la prima volta vengono pubblicate in Europa e che avviano un’altra collana bellissima che s’intitola "Grandi mostre" e ha libri grandi, curatissimi nell’edizione e nella stampa. Il primo e il secondo di questi, che noi chiamiamo libri d’arte, sono I tesori della Russia. Maestri dell’arte russa. 1800-1900, e I tesori degli zar. I capolavori della Russia. L’oro degli Sciti. Libri d’arte che avviano l’allestimento, la cura, la promozione delle relative grandi mostre in una struttura adiacente alla casa editrice e che è il Museo della Villa San Carlo Borromeo, una villa rinascimentale che fin dal sedicesimo secolo è stata destinata, prima dai Visconti, poi dai Borromeo e ora da noi, a avvenimenti culturali e artistici, proprio nei pressi di Milano, contornata da un grande parco, e monumento storico e artistico.
E alla collana "Grandi mostre" appartengono altri libri d’arte. Ed è proprio nella redazione e nell’edizione di questi libri che possiamo precisare un’altra nozione di libro d’arte nonché un’altra lettura e un’altra notizia. Qual è anzitutto il materiale, qual è l’indagine, quali sono lo studio, gli elementi da raccogliere perché un libro non risulti un semplice catalogo. E poi ancora, qual è la sequenza delle pagine, come raccontiamo l’artista e le sue opere, come le esponiamo, come le leggiamo. Impossibile stabilirlo prima. Il libro è ciò che della memoria si scrive. In questo caso, l’artista fornisce le opere, gli scritti, la bibliografia; chi lo redige restituisce il testo con la lettura, ma ciò comporta capire e intendere, procedendo dall’apertura e inventando le condizioni perché ciascuna cosa giunga all’orecchio del lettore, del fruitore di quest’opera che è il libro d’arte: è ciò che resta oltre alle opere. Ciò che indica la direzione della lettura secondo la logica e la particolarità dell’artista. È una lettura globale, che investe ciascun aspetto: dalla famiglia, come apertura e come traccia, alla pittura, al suo incominciamento e al suo debutto, attraverso la difficoltà e la semplicità: fino a trovare la lingua della scrittura, fino a intenderne la sua portata, fino alla scrittura. Fino alla conclusione e al compimento che investe anche la tipografia, la stampa, la rilegatura, la qualità della carta, dei colori, della confezione.
Per ciascuna cosa uno studio, particolare poiché particolare e unico è ciascun artista. E qui mi riferisco, per esempio, a Alberto Bragaglia. Il futurismo europeo. Un’opera che, per le pitture e per gli scritti di estetica e di filosofia dell’arte che contiene, ripropone con Alberto Bragaglia, il più giovane della gloriosa famiglia Bragaglia, la sua stessa famiglia, i fratelli Arturo, Carlo Ludovico e Anton Giulio come protagonisti e promotori dell’arte italiana del ventesimo secolo. Alberto elabora un’altra nozione di futurismo, costruisce la base teorica per la scrittura di vari artisti e consolida quello che resterà per sempre, come movimento futurista, la rivoluzione dell’arte moderna e attuale. Il testo di Alberto Bragaglia passa dalla pittura, alla scenografia, alla coreografia, all’architettura e alla teorizzazione, al ragionamento, a un’altra estetica, e propone accezioni differenti e nuove rispetto alla figura e al paesaggio, al colore e all’astrazione. Il futurismo di Bragaglia non è qualcosa a cui si arriva, bensì è il futuro come ciò da cui le cose procedono, per volgersi poi verso la scrittura e la sua qualità. I suoi testi, difficili ancora oggi, smontano le ideologie del secolo scorso e propongono la leggerezza come virtù del principio. Le sue forme, il suo disegno, le sue figure hanno l’aria e la libertà come originarie. Le sue aritmetiche dicono dell’instaurazione del tempo che non è né lento né veloce.
Raccolgono l’eredità di Alberto Bragaglia, in tempi differenti, ma non lontanissimi, altri pittori di Roma. Antonio Vangelli, la cui serenità risalta dal ritmo musicale delle sue pennellate sulla tela. Come il Bolero di Ravel, dice, e come le favole e le novelle che ciascuna volta racconta inoltrandosi da una galassia a un’altra, da una vetta a un’altra della poesia, della pittura, della scrittura. Una vetta senza abisso, la cui scalata può concludersi solo in un altro viaggio e poi ancora un altro viaggio, come non cessa di dire nel libro d’arte Antonio Vangelli. La festa della vita.
Enzo Nasso, testimone e protagonista della cultura e dell’arte del dopoguerra romano. Scrittore, poeta, pittore e cineasta egli stesso, ha inventato artisti, scuole, giornali, case di produzione cinematografiche... e tutte queste cose lui ce le restituisce con ironia e aneddoti, con romanzi e poesie, con sculture che rispetto alla scultura seguono un procedimento insolito: invece di togliere come fa lo scultore con il marmo, egli aggiunge, salda, taglia, incolla... e con i disegni, la cui satira non è che una variante dell’ironia, che giunge fino al riso. E poi ancora il gioco e le filastrocche colano straordinarie gocce di smalto sulla tela tracciando, come per miracolo, fiori, uomini, donne, scritture. E tutto questo nel libro d’arte dal titolo Enzo Nasso. L’arte.
Ecco ancora Saverio Ungheri. Il bello della differenza. Il quadro non è più circolare, non ha contorni né ricordi né limiti. Dalle sue finestre ci si affaccia sul giardino del paradiso, dove non c’è più peccato, dove non c’è più male. La sua aritmetica sta nella formula dell’infinito, che ritroviamo negli astri, nella cosmografia di pianeti e di vite infinite.
Il libro d’arte Montevago. La Sicilia. Le dimensioni della parola. Il piacere della civiltà si scrive per temi, che sono poi quelli dell'opera di Montevago: anzitutto la Sicilia e l'Etna – che fa da sfondo alla sua Catania – e di cui dipinge il fuoco, che della terra, nelle sue stratificazioni, riporta sezioni e strutture (Strati di cielo e di terra) e ne illustra l'anatomia nel dettaglio e nel particolare. Poi il Palinsesto, che della civiltà del Mediterraneo raccoglie la storia e l'avvenire. E ancora La città sul vulcano, splendido capitolo di un’architettura straordinaria con cui la città diviene città del tempo e non più dello spazio. Characteristica è invece quel capitolo dove intervengono scritture antiche, originarie, forse ancora non decifrate, in cui i volti dell’arte egizia, greca, romana rimangono scolpiti nella roccia e così si ritrovano nell’arte di Montevago. Le dimensioni sono l'immagine, il linguaggio, la materia con cui si fa l’opera dell'artista. E ciascun elemento partecipa alle Costellazioni di una galassia inventata proprio ora. E, infine, la Tipografia, la scrittura del tipo, opera grafica del maestro. E per l’intero libro il viaggio è straordinario: mai un cedimento, mai un abbandono, mai un ripensamento. Il colore definisce l’assoluto che è la condizione anche di questa scrittura.
Protagonista fin dagli anni cinquanta dell’arte italiana, Alfonso Frasnedi, artista internazionale che vive a Bologna, in questo libro dal titolo La materia della felicità. Il contrasto, il dibattito, la tranquillità va per la sua strada, porta avanti la sua ricerca e traccia l’orizzonte da cui muove, senza principio e senza la fine, la pittura, quella difficile e semplice. Il neonaturalismo, l'informale, la pop art, il concettuale, il postmoderno, la New Age… non intralciano il suo cammino. Per un po’ attraversa l’epoca e l’analizza, ma non l’accetta e non l’assume. Da qui la tranquillità assoluta che non rende comprensibile il contrasto e non polemizza il dibattito. La sua scrittura è semplice, egli non è invischiato con il conflitto e con la depressione. La superficie delle sue opere è squarciata dal tempo e non ammette nessuna significazione.
E un omaggio a Firenze è questo libro d’arte che ha duemilasettecento opere del pittore fiorentino Roberto Panichi. Confrontarsi con Panichi è davvero difficile e complesso. Si tratta d’intendere Ciò che resta dell'avvenire. Cinquemila anni di scrittura, che non a caso è il titolo. E occorre percorrere una stretta via prima di cogliere qualche elemento che costituisce la stessa integrità dell’artista, di questo artista. La lingua, la scrittura, la musica, un classicismo dell’avvenire che non c’era prima, l’etrusco e il fiorentino, ma anche il greco, il latino, e ancora l’informatica e la videomatica. Occorre leggere Dante e decifrare la scrittura etrusca, capire le tecniche pittoriche e raccogliere le tracce dell’antichità e della modernità. Perché le cose non sono mai dette ma si dicono, perché le cose non sono mai scritte ma si scrivono. E ciascuna cosa si coglie e s’intende nel malinteso, tra le righe, quando non avremo più terrore per la complessità e quando tra le pieghe potremo percepire la semplicità del piacere.
E così, la cura di questi libri, che costituiscono la collana "Grandi mostre" della casa editrice Spirali, trae a prendere appunti, a capire e intendere, talvolta anche a scrivere per restituire parte di ciò che ci è stato dato. È un compito difficile, che può essere portato a compimento solo con la collaborazione dell’artista e dell’editore, che per questo ringrazio. La produzione è importante per una casa editrice. Ma contano anche gli effetti e quanto, della produzione, si dice e si scrive.Molti intellettuali e scrittori, che per altri versi, per altri settori, per altre collane, hanno pubblicato con Spirali, sono chiamati ora a leggere le opere degli artisti. È una domanda accolta ma anche provocata dall’editore. Viene inaugurata così la collana "L’arca. Pittura e scrittura". Tratta la lezione rinascimentale, nonché quella di Leonardo e di Machiavelli, la materia e il materiale forniti dagli artisti attraverso le opere e il libri d’arte costituiscono il pretesto per i nuovi libri che rientrano in questa collana. Affidata la lettura dell’opera d’arte agli storici, ai critici, ai giornalisti, oppure agli accademici o agli umanisti, stabilita la distanza e la separazione delle arti liberali dalle arti meccaniche che per millenni, salvo una breccia nel Cinquecento, hanno rappresentato il solo modo di approcciare le arti creando gli specialisti di ognuna di esse, quella collana rimette in gioco la questione dell’artista, della sua missione, della sua opera. L’impossibile settorialismo delle arti e delle scienze, ci ha portato a constatare che ciascuna cosa esiste nella parola e che solo così produce effetti, che si scrive. Il mito biblico dell’arca di Noè racconta e narra di questa impossibile universalizzazione, salvo non credere nel diluvio o nella fine del mondo. Arca in ebraico viene tradotto con parola in italiano. Le cose stanno nell’arca dunque nella parola. È solo un accenno alla questione per dire che la distinzione non è la divisione né la separazione. E qui interviene la questione linguistica che ha interessato e provocato Leonardo e il rinascimento anzitutto. La globalità dell’opera di Leonardo va in questa direzione: la sua scrittura è pittura, e la sua pittura è scrittura. Machiavelli non sa adoperare il pennello ma la sua pittura è la prosa, così come quella dell’Ariosto è la poesia. E Giotto, o Piero della Francesca non sanno adoperare la penna ma la loro scrittura è la pittura. E quando un artista racconta la sua opera può raggiungere gradi di poesia straordinari, come Benvenuto Cellini quando descrive la fusione del Perseo, oppure Pietro l’Aretino quando, dovendo leggere l’opera di Michelangelo, non risparmia l’ingegno della sua scrittura scrivendo: "Io vi renderò inchiostro per colore e sudor per opera".
E ecco l’integrazione delle scienze e delle arti, che lo stesso Verdiglione rilancia, dopo la lettura del testo leonardesco, proprio con questa collana. Bernard-Henri Lévy, giovane scrittore e filosofo francese, protagonista di molte battaglie linguistiche, si è formato con Piero della Francesca, che però ha potuto leggere a seguito della lettura dell’opera di Mondrian. Vladimir Maksimov dissidente russo, scienziato e scrittore, che riferendosi a Melevic e pensando a Rublëv, senza indecisione scrive: [Malevic] è l’icona del mio tempo. E ancora Jurij Naghibin, scrittore e regista, che avanza un accostamento tra Chagall e Tintoretto e fra Vermeer e Tatlin. E Fernando Arrabal, commediografo, scrittore e regista straordinario, che legge, con inquietudine e grande umiltà, Goya e Dalí. Entrano di buon diritto, dopo mostre grandi e bellissime dell’opera globale, anche Antonio Vangelli, che lo scrittore e poeta cinese Shen Dali legge accanto a Chagall: una differente leggerezza, lo stesso volo, la stessa favola della vita. E, ancora Shen Dali, davanti alle tele di Frasnedi e a quelle di Matisse: l’impossibile quadratura del cerchio. L’impossibile quadrato. E la verticale: ciò che permette alla terra di scagliarsi nel cielo. Roger Dadoun, scrittore e filosofo riprende invece Marcel Duchamp, dopo già vari libri, e punta sulla scrittura delle sue opere, ma anzitutto della sua vita. Il gioco e le parole, pur senza significare nulla, entrano nella vita: che sia fornito loro o meno un contesto. Enzo Nasso invece procede dall’ironia e giunge al motto di spirito, e restituisce con il gioco e il riso quanto gli si getta contro come valore assoluto.Seguiranno altri. Canaletto e Montevago a opera di Antonio Saccà mentre Vittorio Vettori si occuperà di Beato Angelico e Antipov e di Masaccio e Panichi. Cézanne e Gurwic e Kandinkij e Bielutin sono materiale di scrittura per Nadine Shenkar, scrittrice ebrea, e Picasso e Lazykin per Francesco Saba Sardi. E ancora testimonianze e scrittura di altri intellettuali e scrittori. E la scrittura passa anche attraverso la lettura (FG 2002).
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