ABBONDANZA
O che abbondanza, o che ricchezza, o che sazietà senza fastidio sarà in quell’ovile, ove Cristo medesimo sarà e pastore e pascolo e fonte indeficiente per appagare tutta la nostra sete (OM. IV, Sant’Ambrogio, Milano, 07.12.1567, p. 250). Tutte le ricchezze di Creso insiem raccolte non potrebbero prolungarvi la vita neppure di un sol giorno, e per quanto si studino gli uomini di protrarla, ciò non ostante l’abbondanza dell’oro e dell’argento è loro in questo rapporto di nessun profitto; anzi diviene piuttosto un ostacolo non permettendo essa agli avari di godere nemmeno di quello che posseggono, e privandoli delle gioje ben anco di una vita comune (OM. III, domenica X dopo Pentecoste, Treviglio, 07.08.1583, p. 43). L’origine di tutte le calamità deriva dal non sapere gli uomini imprudenti, quali cose essi debbano cercare, quale specie d’abbondanza valga a riempire le loro menti, i loro cuori. Perocché altri bramano ardentemente l’abbondanza dei prodotti della terra, simili a quell’avaro ricco dell’Evangelio, “il quale ebbe un abbondante raccolto dalle sue tenute” (Lucæ XII, 16 e ss.). Ma una siffatta abbondanza, lungi dall’arrecargli quiete, gli cagiona invece affanno grandissimo; quindi è che cotest’uomo, sebbene vivesse in tanta affluenza di beni, pure andava ansiosamente pensando fra se stesso: “Che cosa farò?”. Di più, oltre al forte sconvolgimento che producono nell’animo, questi beni sono instabili e fallaci [...]. Studiansi altri di aver gran copia di cibi e di bevande, copia apportatrice di nausea e di moltissime infermità, e che talora genera ancora la morte del corpo, e insiememente quella dell’anima, conciossiacché di essi pure disse l’apostolo: “Se noi mangeremo, non avremo qualche cosa di più” (I ad Corinth. VIII, 8). Uomini sono questi, che non sembran dissimili dai bruti, le di cui anime muojono in un coi corpi, mentre dicono doversi qui mangiare o bere, non credendo altro piacere esservi al di là della morte. Altri tutta adoprano la lor diligenza nello ampliare le case e le campagne, e nel dilatarne i confini, fissando porre nelle loro terre la gloria de’ loro nomi, i quali dovrebbonsi collocare ne’ Cieli. [...] Altri finalmente anelano all’abbondanza dei beni temporali e terreni, ma tale abbondanza non la possono conseguire. Cotali uomini son da Isaia paragonati a gente che sogna: “Come uno che ha fame, egli dice, si sogna di mangiare, e svegliato che si è, si sente vuoto” (Isaiæ XXIX, 8). Ma tutti costoro per verità non sanno quali sian le cose che essi debban cercare e delle quali dovrebbero abbondare, mentre si affaticano in saziare lo spirito di cose corporali. Oh uomini sgraziatissimi, non considerate voi che gettate le vostre fatiche al vento? [...] tutte quelle cose di cui finora cercaste l’abbondanza, non sono che “cisterne che gemono, che contener non possono l’acque” (Jerem. II, 13); la loro affluenza non può rendervi né ricchi, né felici, essendo esse piuttosto ordinarie fonti di calamità e di eterna miseria. “Io, io — dice oggi il Divin Figliuolo — v’insegnerò di quali cose dovete abbondare, ed in qual modo” (Matth. V, 20) (OM. III, Per la stessa domenica XII dopo Pentecoste, Nerviano, 21.08.1583, pp. 113-6). Il mio cibo e ristoro è ch’io faccia la volontà del Padre mio, qual è di compir l’opera della redenzione umana. Con tutto quanto questo nondimeno ce ne restiamo ingrati, e l’abbondanza delle grazie ci rende oziosi e spensierati (OM. V, Sermoni familiari tenuti alle monache dette Angeliche, Sermone XIV. Fatto la vigilia della Natività di Nostra Signora, Milano, 07.09.1583, p. 125).
CIBO
[...] come sentiamo la debolezza, corriamo a cibarci, non si aspetta che altrui c’inviti, anzi, non si risparmia fatica per procacciarlo, et al pane della vita siamo così negligenti, come se l’anima potesse vivere senza questo nutrimento. Non è così; non è così, non si vive senza cibo, nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in vobis (Joan. VI, 54). Il corpo perde tutte le sue operazioni se non si nutrisce, gli occhi non vedono, gli orecchi non odono, la lingua non parla, et finalmente convien che mora. Così appunto avviene nell’anima, che destituita dal proprio nutrimento non discerne il vero bene dal falso, non ode più la voce di Dio, non lo lauda, non lo glorifica, et all’ultimo muore miseramente nel peccato. Il quale corrompe in modo il gusto interiore dell’anima, che non sente più il sapore di questo dolcissimo pane, come anche quando lo stomaco è infetto da cattivi humori, et il palato corrotto, il dolce pare l’amaro, et tal’hora l’amaro par dolce (DI, Discorsi dell’anno 1565. In die Cenæ Domini, De sancta Eucharistia). Il Creatore di tutto, Iddio, avea preveduta e ben conosciuta insieme la nostra infermità, e in quanto bisogno sarebbe venuta la nostra vita spirituale di un spirituale alimento, siccome la fisica di un rinforzo materiale; per cui all’una ed all’altra apparecchiò un abbondantissimo cibo, a questa somministrando sostentamenti corporei, a quella donando il cibo onde gli Angioli si beano in cielo, cosicché sotto le specie del pane e del vino avessimo noi a nutrircene qui sulla terra (OM. II, Nella solennità del Corpus Domini, Milano, 09.06.1583, p. 187). Qual padrone più duro del mondo, anzi chi più tiranno verso de’ schiavi suoi? Udite com’esso tratti. Davide, inseguendo gli Amaleciti, avvenne a’ suoi di trovare nella campagna un egiziano che a lui condussero: diedero ad esso del pane e dell’acqua, e della frutta, onde si riebbe e si ristorò, perocché eran tre dì e tre notti che non aveva mangiato né bevuto. Davide allora gli disse: “Chi se’ tu? E d’onde vieni e dove vai?”. Rispose quegli: “Io sono uno schiavo egiziano e servo un Amalecita; il mio padrone mi ha lasciato perché cominciai ad aver male jeri l’altro” (I Reg. XXX). O gli sgraziati che sono i seguaci del mondo; appena “incominciano ad aver male”, appena soggiacciono a qualche sinistro, appena cadono in distretta, e subito vengono da esso abbandonati affatto, e ridotti a morire di fame e sete; imperocché nulla dà di quelle cose che a sì larga bocca aveva promesse, e non è neppure in istato di dare, mentre i cibi di lui non valgono a soddisfare la nostra fame. Chi può sfamarsi con dell’aria?
È di solido, di solido cibo che abbisognamo, e il mondo ne è sprovvisto al tutto. Anzi non fa parte, quando viene il bisogno, nemmeno de’ falsi beni che ha; più, simile quel crudo Amalecita, abbandona infermi nell’aperta campagna gli sgraziati che ingannò. E poco ancor sarebbe se solamente li abbandonasse: ciò che è peggio, anche le anime, dopo che ebbero con lui fornicato, esso le lascia nella nudità e colme di confusione (OM. V, Altri discorsi alle Monache, Nel Monastero di San Paolo dell’ordine Benedettino, Allocuzione tenuta in Parma, 30.10.1583, pp. 188-9). Agli Ebrei raminghi pel deserto, onde non perissero di fame, “piovve per cibo la manna” (Psal. LXXVII, 24); se non che “mangiaron essi la manna, ma pur morirono” (Joan. VI, 49) (OM. I, venerdì dopo la domenica III d’Avvento, Bellinzona, 02.12.1583, p. 42). [...] e portiamoci a Betlemme. Veramente Betlemme tu sei, o Chiesa nostra madre, tu la vera casa del pane [dall’etimologia ebraica Beth lehem, domus panis, casa del pane]; mentre in te si dispensa a’ pargoli tuoi il pane della vita, vien dato a cibo il pane degli Angeli (OM. I, Santo Natale, Milano, 25.12.1583, p. 115).
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La linguistica di san Carlo Borromeo, 27 febbraio 2013
Di m_barber (milano, Italy Italy) Recensione da Amazon.it
Questa recensione è su: INDEX dell'OPERA BORROMEO (Formato Kindle)
Certo l'opera scritta di un autore non nasce già con la sua linguistica, con il suo glossario e con il suo dizionario. Nel caso di san Carlo Borromeo, la bibliografia è molto ampia, non solo delle opere edite e pubblicate nel corso di quattro secoli, ma anche dell'opera inedita. E, avvicinandosi alla lettura dell'intero corpus, non sempre è facile capirne l'intera struttura, il percorso di ricerca, le questioni che lo hanno interrogato, quelle per le quali è riuscito a tracciare un itinerario e quelle rimaste in sospeso. Quelle che hanno insistito di più facendogli scrivere libri, lettere, talvolta trattati, o quelle che, per qualsiasi motivo, non sono state articolate e sono rimaste aperte per integrazioni e discussioni anche postume.
L'Index a me pare sia stato costruito in questo modo: consultata l'opera, individuati i temi, le domande, gli aforismi, i racconti, le parabole, gli insegnamenti... l'autrice ha organizzato, traendo dall'opera edita di san Carlo, questo glossario-dizionario sotto forma di lemmi.
Il risultato è interessante: possiamo leggere con una certa semplicità quanto il Santo scrive sulle questioni che hanno attraversato la sua vita e il suo lavoro come cardinale della Chiesa ambrosiana. Per esempio, tutti gli elementi che accompagnano la liturgia e la pastorale della chiesa, o i quesiti architettonici, artistici, educativi e di formazione. Le riflessioni intorno alla teologia e al diritto canonico, le interrogazioni sulla fede, sulla preghiera, sulla salute.
L'impaginazione richiama il dizionario enciclopedico. Ma non è solo questo. Ci sono i grafici di san Carlo che tracciano i suoi ragionamenti, per esempio per le omelie sul Vangelo o per dare indicazioni sul modo di predicare. Ci sono anche curiosità e aneddoti. Carlo Borromeo era anche un ottimo oratore, e questi testi, così organizzati, ne restituiscono un ritratto assolutamente inedito.
I linguisti, i teorici della lingua di sicuro trarranno molti elementi, non per computare la frequenza di una parola, ma per capire, nel contesto in cui è stata usata, quali implicazioni questa abbia trovato. Rispetto a altri lavori lessicali o enciclopedici riferiti a filosofi, teologi, letterati o scienziati, questo Index, individuati i lemmi (certamente con una certa arbitrarietà, come dichiara l'autrice), li costruisce con l'opera del Santo, raccogliendo, in ordine cronologico, le sue citazioni con i precisi riferimenti bibliografici. Senza commento, quindi e senza interpretazione. Ne risulta un disegno interessante, complesso e articolato, differente ciascuna volta, a secondo della ricerca. Si può leggere di seguito, secondo i lemmi disposti in ordine alfabetico, o in un altro ordine che richiede la propria ricerca, oppure provando a seguire uno degli schemi (chiamati anche “arbores“) di san Carlo. Di sicuro è la prima volta che l'opera di un Santo viene proposta con questa grafica.
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